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LA STAMPA
2 AGOSTO 2006
IL MONITO DI NAPOLITANO AL CSM
La giustizia è lenta come il cammino del centrosinistra
di Carlo Federico Grosso

Il Capo dello Stato, in occasione dell'insediamento del nuovo Consiglio Superiore della Magistratura e dell'elezione del suo vicepresidente, ha ammonito che urgono riforme di sistema in grado di abbreviare i tempi dei processi penali e di eliminare, attraverso un'ampia introduzione di pene alternative al carcere, le ragioni dell'eccessivo numero di detenuti e della conseguente condizione disumana della detenzione. Parole sacrosante, che i penalisti più avveduti predicano comunque da anni e che hanno già trovato riscontro in progetti di riforma elaborati da commissioni ministeriali, ma che non hanno mai costituito, fino ad ora, oggetto di concrete iniziative politiche. Ha tuttavia soggiunto, e questo profilo è particolarmente rilevante, che, sia pure in modi e tempi ragionevoli, occorre che la riforma Castelli dell'ordinamento giudiziario venga modificata.

Può darsi che i tempi delle grandi riforme organiche siano ormai diventati maturi. La speranza è sempre l'ultima a morire, ovviamente. Le avvisaglie che ci provengono dai primi due mesi, o poco più, di attività del nuovo governo nel settore della giustizia non sono peraltro in grado di indurre a grande ottimismo. Sono rimaste finora del tutto inevase, ad esempio, iniziative che erano state indicate come urgenze nel programma elettorale dell'Unione, e che ci si aspettava sarebbero state affrontate con la dovuta tempestività. Penso, per tutte, alla legge Cirielli su prescrizione e trattamento dei recidivi, o alla legge Pecorella sulle impugnazioni, che stanno creando guasti nella gestione quotidiana della giustizia penale, ma sulle quali nessuno, al governo, ha finora pensato di mettere seriamente le mani.

Ma ancora più grave è quanto è accaduto nei confronti della riforma Castelli dell'ordinamento giudiziario. Il centro sinistra in periodo elettorale si era impegnato a bloccare immediatamente i relativi decreti delegati, per consentire la rivisitazione quantomeno dei profili che danneggiavano maggiormente l'organizzazione giudiziaria. Anziché utilizzare il decreto legge, come pensavo fosse ragionevole data l'urgenza, è stato presentato un normale disegno di legge, che, si diceva, avrebbe dovuto essere comunque approvato in tempi rapidi. Pochi giorni fa si è scoperto che la sua approvazione in Senato era stata fissata per il 4 agosto, ma che la seduta è saltata, e che se ne riparlerà, se va bene, a fine settembre. Nel frattempo tutti i decreti delegati sono entrati in vigore, e sarà ora più difficile arrivare in tempo ad effettuare le modifiche indispensabili.

Ecco perché l'intervento del Presidente della Repubblica ieri al Csm è stato, su questo punto, particolarmente importante. Il Presidente ha messo comunque opportunamente il dito su una delle piaghe aperte di maggior rilievo, ed ha soggiunto che su questo terreno, come su quello delle eventuali riforme di sistema penale e processuale, il Consiglio Superiore della Magistratura dovrà esercitare fino in fondo il suo ruolo formulando, come gli è riconosciuto dalla legge, i relativi pareri.

Infine, l'appello al dialogo fra le parti politiche. Non è la prima volta che il Presidente insiste su questo tema. In effetti, come tutti abbiamo capito da tempo, l'attuale coalizione di governo ha vinto le elezioni soltanto a metà, in Senato è priva di una maggioranza in grado di assicurare in modo certo le sue scelte, la stessa variopinta alleanza che sostiene l'esecutivo è scossa da divisioni. Ed allora, di fronte alla grande difficoltà di governare, ecco l'appello alle ampie intese, quantomeno sui grandi temi delle riforme. Il problema non è tuttavia da poco, soprattutto in un settore come quello della giustizia.

Pure in un Paese, come l'Italia, dove è possibile tutto e il contrario di tutto, riesce infatti difficile pensare che diversità di pensiero politico profonde e stratificate, come sono quelle emerse in materia di giustizia, possano produrre d'incanto riforme ampiamente condivise senza determinare pessimi risultati o quantomeno discutibili compromessi.

Mi domando ad esempio: larghe intese sull'eliminazione della Bossi-Fini quando dispone che gli stranieri espulsi che violano la prescrizione vadano automaticamente in galera, larghe intese sull'eliminazione della nuova legge sulla droga che usa la mano pesante addirittura nei confronti di chi fuma uno spinello, larghe intese sulla drastica riduzione della previsione del carcere da parte del codice penale e sulla sua ampia sostituzione con pene alternative, larghe intese su di una rivalutazione di reati economici gravi come il falso in bilancio di fatto abrogato dalla Cdl? Come dicevo, la speranza è comunque l'ultima a morire, e bene fa il Presidente della Repubblica, garante dell'unità nazionale, ad esortare al dialogo, auspicando che esso sia in grado di attenuare le divisioni.



INES TABUSSO