00 18/01/2006 23:50
L'UNITA'
18 gennaio 2006
Primo, non farsi del male
di Antonio Padellaro

Da leggere attentamente l’ultimo sondaggio di Renato Mannheimer sul Corriere della sera, secondo il quale la forbice percentuale tra centrosinistra e centrodestra resta larga (51 a 45) ma si è accorciata rispetto a un mese fa. Rimane grande, e anzi cresce, l’esercito degli indecisi. Un dato preoccupante perché gli incerti (o coloro che non si dichiarano) aumentano nel campo dell’Unione, probabilmente a seguito del caso Unipol, causa di sconcerto nell’opinione pubblica di sinistra. Anche se sei punti di distacco restano comunque parecchi sarebbe sbagliato sottovalutare la flessione. Primo, perché mancano poco meno di tre mesi al voto e in ottanta giorni di campagna elettorale al vetriolo molto può succedere. E secondo perché l’esperienza ci ha insegnato come i sondaggi, anche i più fausti, possono essere capovolti nel rush finale. Vedi, nelle elezioni tedesche, i dieci punti di vantaggio della Merkel sulla Spd diventati, alla fine, uno striminzito pareggio. Vedi il tracollo finale di John Kerry, rimontato e superato da George W.Bush (il cui guru per la comunicazione Karl Rove sarebbe stato, per l’appunto, arruolato da Silvio Berlusconi).

Da riempire immediatamente, perciò, il vuoto di comunicazione che si sta producendo sui problemi del paese, soprattutto quelli economici e del lavoro che rappresentano il vero banco di prova quando l’elettorato è chiamato a decidere sul nuovo Parlamento e sul nuovo governo. Comprensibile che di questi argomenti non vogliano parlare, con il bilancio fallimentare che si ritrovano, l’attuale premier e i suoi sodali. Inevitabile che costoro tentino di mantenere l’attenzione degli italiani sulla cosiddetta questione morale della sinistra.

E questo grazie anche alla gentile collaborazione dei Bruno Vespa di turno: lunedì sera, a Porta a Porta, durante il confronto su Unipol tra Fassino e Fini, il conduttore ha atteso un’ora buona prima di annunciare che i famosi 50 milioni di consulenze Consorte e Sacchetti non li hanno versati a nessuno poiché la somma è ferma presso due fiduciarie italiane.

Difficile allora capire per quale motivo, nel centrosinistra, invece di riportare il discorso sulla concretezza della cose da fare e del come farle - ossia i contenuti- si preferisca concentrare energie e sforzi (con relativa scia di screzi, incomprensioni, tensioni) sulla natura dei contenitori. L’affondo di Prodi sul Partito Democratico, per esempio, appare del tutto coerente con la necessità di dare forma a un progetto politico che non si vuole esaurire nella lista elettorale Ds-Margherita-Repubblicani europei. Una strategia, quella del grande Ulivo, che in qualche modo interpreta i desideri dei 4 milioni e 311 mila elettori delle primarie ma che, per forza di cose, si presenta ancora nella forma di un dibattito un po’ politichese e forse non ancora così coinvolgente per i comuni mortali. Resta una domanda. Se il vertice convocato a tarda sera a Santi Apostoli non doveva (e non poteva) annunciare la nascita del nuovo partito con la conseguente cessione di sovranità da parte di Quercia e Margherita, perché drammatizzarlo tanto? Se si trattava di introdurre un simbolo unitario al Senato, garantire un’adeguata quota di candidature agli uomini del Professore, concordare le regole della cassa comune, perché trasmettere al popolo dell’Unione l’idea che non d’incontro ma di scontro si trattava, con tanto di ultimatum e rullar di tamburi?

Sempre ieri mattina appariva sul Corriere della Sera il seguente titolo: «Travaglio ai Ds: vi siete arricchiti, ora si sa il giro dei soldi». Si parlava della serata dell’Ambra Jovinelli dove è stato presentato il libro di Marco Travaglio e Peter Gomez “Inciucio-Come la sinistra ha salvato Berlusconi”. Una frase inaccettabile su soldi e arricchimenti riferita a un’intera classe dirigente e a un intero partito di cui fanno parte milioni di persone oneste; e che infatti Travaglio ha smentito di aver detto con una lettera al Corriere. Resta il problema della polemica, spesso durissima, scagliata contro i Ds accusati, dopo il caso Consorte, di scarsa moralità pubblica e privata da altri settori della sinistra. Qui non si tratta di fare gli avvocati difensori della Quercia visto che la Quercia stessa, a cominciare dal suo segretario, l’autocritica è stata capace di farla raccogliendo critiche, ammettendo errori e contraddizioni «con onestà e umiltà», come chiunque può leggere nel documento approvato all’unanimità dalla direzione del partito.

Più importante ci sembra riproporre la domanda che l’altra sera, in quel teatro gremito, Furio Colombo poneva agli autori, agli spettatori e in fondo anche a chi scrivendo su questo giornale ha fatto della legalità una bandiera quotidiana. Io non vorrei, ha detto Furio, che scoperta la bomba e l’intrico dei fili, tagliassimo quello sbagliato facendo saltare per aria la grande possibilità che finalmente abbiamo di liberarci di Berlusconi. Rispondono gli autori del libro che caduto Berlusconi non è detto che l’Italia riacquisterà per incanto le libertà perdute; che questa è una favola, perché se Berlusconi è arrivato fin qui, è perché a sinistra troppi glielo hanno consentito. Può darsi che la nostra democrazia sia intrisa da una sorta di inciucio permanente e irredimibile. Che certamente va indagato e raccontato fin dentro le sue pieghe più imbarazzanti e vergognose. Ma se in questa rincorsa a farsi del male il vero problema politico italiano sono diventati il caso Unipol e i pranzi dei ds, se in fondo l’inciucio rende tutti uguali, se del conflitto di interessi del premier non si parla più perché il conflitto di interessi è a sinistra, se tutto fa schifo, chi può impedire a tanti di quegli incerti che citavamo all’inizio di non pensare: allora teniamoci Berlusconi?

INES TABUSSO