Bella domanda. Rispondo un po' frettolosamente perché devo uscire.
Io sono favorevole, ma con i dovuti distinguo. Più che altro contesto l'antropologia positiva che informa il diritto penale. L'art. 27 della Costituzione al comma 3 afferma che
le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, al comma 4 che
non è ammessa la pena di morte (prima essa prevista dalle leggi militari di guerra, pena abolita nel 94). Ricordiamo poi che il legislatore trae ispirazione anche da fonti sopranazionali, come per esempio la
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali degli anni 50.
Abbiamo quindi pene che si rifanno a un senso di umanità che esclude punizioni come la pena di morte (e ci sono dibatti anche sulla costituzionalità dell'ergastolo fine pena mai) perché la vita sarebbe un bene indisponibile, la vendetta non è una finalita dello Stato e bisogna rieducare il condannato.
La rieducazione è tenuta in conto in vista, naturalmente, della risocializzazione del condannato. Ovviamente non ha senso restituire alla società un uomo che non abbia imparato a determinarsi nello spettro delle possibilità legali concesse, ma che è stato soltanto punito. Su questo niente di sbagliato. Anche se l'effetto deterrente delle pene dovrebbe impedire la commissione stessa del reato, non è detto che qualcuno non sbagli lo stesso. E qui entra in gioco la rieducazione (anche se come è stata informata dall'indirizzo politico e legislativo italiano per me è fallimentare).
Io mi chiedo però perché questa società moderna occidentale rifugga la violenza come se fosse un retaggio del passato o qualcosa che non ci appartiene. Essa fa parte di noi più di quanto lo si voglia ammettere. Omicidi e stupri, per tacere dei delitti contro i minori o i disabili, sono purtroppo eventi ai quali siamo abituati.
Viviamo in una società violenta, e a mio avviso una risposta violenta sarebbe ben proporzionata all'offesa. Dopotutto in guerra si uccide leggittimamente. E la guerra, per quanto una buona fetta di persone si perda in sogni di una non ben chiara società moderna pacifica e multiculturale (anche questa pretesa, a mio avviso, è una bella sciocchezza ma non argomenterò), allo stato dei fatti non sparirà dalla nostra storia futura.
L'uomo
è un animale violento. Certo l'istruzione e la moralizzazione potrebbero forse renderlo migliore, ma non è questo di certo il momento. I tempi odierni richiedono, a mio avviso, più una buona dose di durezza che non di dialogo.
So che non mi sono spiegato bene, forse ho lasciato dei refusi, ma come ho detto vado di fretta.
Erena-chan, 25/01/2013 21:04:
Più che cambiare le priorità dei giudici bisognerebbe cambiare le leggi che i giudici applicano.
Non me ne intendo, quindi
potrei dire sciocchezze xD Correggetemi se sbaglio xD
I domiciliari vengono dati se non c'è pericolo che le prove vengano inquinate o ci sia il pericolo di fuga, giusto?
Beh, giustamente uno stupratore non può "inquinare" niente e difficilmente fuggirà, quindi il giudice in questione ha applicato la legge alla lettera... ma ciò non toglie che, come hai detto tu, uno stupratore è molto più socialmente pericoloso di un ladro, quindi il giudice dovrebbe rivedere le sue priorità, eccome se dovrebbe farlo...
Cara, mi pare di capire che pensi che agli stupratori non vengano applicate le misure cautelari? Se è così ti sbagli. Ti do una risposta lampo.
Innanzitutto una precisazione terminologica. La pericolosità sociale viene valutata per l'applicazione delle misure di sicurezza (OPG e affini).
Per l'applicazione delle misure cautelari personali sono richieste:
a) la gravità del delitto (deve trattarsi di un delitto punibile con, se non ricordo male, almeno l'ergastolo o pena superiore ai tre anni, quattro per la custodia cautelare in carcere).
b) gravi indizi di colpevolezza.
c) la ricorrenza di almeno una delle tre esigenze cautelari:
1- pericolo di inquinamento delle prove (nel caso specifico, per esempio, lo stupratore potrebbe minacciare la vittima e costringerla a non testimoniare in tribunale. Sappi a questo proposito che la prova -cioè l'elemento che è suscettibile di valutazione da parte del giudice per la decisione sull'eventuale condanna- si forma durante il processo. Perciò una testimonianza resa durante le indagini non è una prova)
2- pericolo di fuga
3- pericolo di reiterazione del reato
Ora l'art. 609 bis del CP prevede che
chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Il comma 3 art. 275 del CPP prevede l'obbligatorietà della custodia cautelare in carcere anche per i delitti previsti da questo articolo dal 2009, con la legge 38/09, mi pare.